giovedì 22 ottobre 2009

Luigi Ciarpelli

Scrive da anni versi liberi per comunicare sentimenti che in altro modo ha difficoltà ad esprimere.
Ha scritto diversi volumetti: La tempesta nel cuore, Pensieri e parole di una coscienza inquieta, Germogli, Meteore e sassi, Territori nascosti.
Vive in silenzio il suo dramma, partecipa saltuariamente alla vita sociale. Aggrappato a un filo di speranza ancora sogna.


Giovanile  disagio



Felice bambino giocavo
con poveri oggetti
frutto di fantasia
fervida compagna
della mia fanciullezza.
C’era il sole quel giorno
ed io affaccendato
fantasticavo
viaggi interminabili.
Improvvisamente un grido,
dai campi un gemito:
due uomini con fatica
recavano un corpo di donna.
Era mia madre
caduta da un albero.
Rimasi di sasso
temendo tristi presagi.
La portarono a casa,
adagiata sul letto
soffriva senza lamenti,
una lacrima spuntava
sugli occhi neri
su quello sguardo
in cui rifletteva
tanto dolore.
Giunse il medico
che scuotendo la testa
“la schiena è fratturata”
disse;
la portarono via
e per mesi non vidi
il suo sguardo.
Piangevo
e un peso greve
tagliava il respiro.
Lei era tutto il mio mondo
la mia completezza;
un grumo di sofferenza
si disperdeva negli arti.
Il suo petto generoso
non si apriva ai richiami
di un bimbo infelice.
Il suo passo snello
non sconvolgeva
il battito del cuore.
Ora che scrivo
piango per allora
quando camminavo come automa.
Sedevo sul banco di scuola
e guardavo con fissità
i compagni d’età
con cui prima giocavo sereno:
piccole statue chiassose
urlavano e correvano…
avevano la mamma!
Lei, dopo anni di atroci dolori
morì,
lasciandomi solo
con la mia adolescenza.
Mi dicevo
che non potevo ridere
perché senza madre.
Il suo viso mi seguiva
nelle primavere fiorite
sotto gli alberi
dove sedevo ad ascoltare
il fruscio del vento.
Guardavo i pioppi
e lo stormire delle fronde,
aspettavo che tornasse
paziente per lunghi giorni
come l’attesa di un figlio
e il mio cuore batteva
in sintonia
col suo agile passo.
Poi venne la giovinezza
col suo impeto rigoglioso.
Instancabile
nelle ragazze cercavo la mamma,
ma esse chiedevano altro:
volevano il mio corpo
volevano il mio sesso.
E io davo il mio sesso
alla loro rapacità…
Poi tornavo ai libri
amici fedeli di quell’età…
Le carezze femminili
non mi bastavano.
Trascorrevo le notti
nelle bettole
ubriaco di vino e disperazione;
cantavo stonato con i netturbini
per riempire il vuoto dell’anima;
all’alba tornavo a casa
e mi buttavo su un letto ingrato.
Nei miei anni migliori
ho sparato parole
bestemmiando la sorte.
Uomo bambino
elemosinavo dolcezza,
timido e scontroso
figlio ostinato.


Ingenuo  rifugio



China sullo scoglio,
la mente rugosa,
ascoltai il rumore del mare,
temerario cercatore
di sincero silenzio.
Dimenticai la ressa,
le luci ai vapori di sodio
sugli argini delle corsie.
Dalle vie selvagge delle città
fuggii intenerito
i passanti numerosi:
visi frettolosi,
statue incolori.
Fisicamente deluso
della calca delle spiagge,
della pelle morbosa
mi spinsi a cercare
un sasso marino.
Ora,
pacifico eterno bambino
siedo sulla roccia
e preme, lontana fanciulla,
il nostro amore passato.
Con i piedi nell’acqua,
i capelli sciolti,
immagino cose,
idee gracili e nude,
ma vivo, o mondo rissoso,
il mio amore cosparso
di cultura e di azzurro.
Ti penso,
col mio sguardo orgoglioso,
rapito dal tuo antico colore.
Ora vivi con me,
nella pace e nei sogni.
Il filosofo del tempo verrà
a portare nuovi saperi,
a dire che l’incanto è vicino.




Territori  nascosti



Morendo chiederò
con un fil di voce
di darmi la luce
per conoscere
territori nascosti.
La mia anima
salirà su una nuvola
e guarderà impacciata
questo garbuglio,
che è il pensiero degli uomini.
E lassù in alto
l’azzurro.
E il mare sorriderà
dal basso
al mio niente eterno.
Non posso comprendere l’infinito
e mi sfugge l’immediato,
scontroso agitatore
di masse informi.
Sotto l’albero
del frutto proibito
ho mangiato la mela di Eva.
Uomo indifeso,
cacciato a forza
tra i lupi,
ho appreso
a mordere senza rimorso.
Non chiedo pietà,
non chiedo comprensione,
perché io, feroce animale,
divoro ideali,
ai confini dell’onestà
dolce suono mutilato.

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