martedì 27 ottobre 2009

Mario Ranalli

Ha operato nella Scuola dapprima come Insegnante e, in seguito, come Direttore Didattico.
Le sue poesie sono apparse in numerosi periodici letterari e antologie. Ha pubblicato le seguenti raccolte: Momento equinoziale (1983); Il sortilegio del silenzio (1988); Ci resta ancora un tempo (1990) e La parola indecifrata (1990).

Le poesie di Mario Ranalli sono lette da Gabriella Di Gaetano

Cartolina dalla Val Vibrata



I giorni che sapevano di sole
sono un ricordo alla finestra, l’acqua
trascorre meno limpida e nell’aria
il respiro s’incrina con le voci
che frugano i pensieri, quando i cani
annusano il calore delle stalle,
i passeri ritrovano i fienili,
la massaia rimuove dal balcone
il geranio che stempera nel verde
il grigio dei mattini insonnoliti.
Si ignora il giorno che matura al fumo
dei sarmenti, la tregua dei fanciulli
ai giochi dissipati tra i pagliai;
si discorre di case, di raccolti,
di giovenche e di piogge settembrine
sui clamori sanguigni di vendemmia;
e prima che la sera dai sentieri
riscivoli sui mucchi di trifoglio,
si scende nella stalla a riscattare
la giornata col gioco delle carte,
e il boccale si pone accanto al fuoco
prima di berlo a cena con gli amici,
quando già irrompe sopra la collina
lo slancio fragile del vento e insegue
l’onda di voci stretta al crocevia,
e la notte si gonfia dal torrente
e lusinga un’attesa sui balconi.



Il sortilegio del silenzio



Ma quando l’impazienza del buio
nasconde un urlo di violenza
nelle insane geometrie delle strade
e il colore della notte
si gonfia e insiste alle persiane
e l’infaticabile tarlo di ruggine
scava insidie a cui dare un senso,
lasciami, nel gioco della memoria,
un alfabeto di fuoco
e lo slancio di un ritorno, il profilo
d’un giorno toccato da un chiarore.

Non negarmi una voce che stemperi
il velo di torpore dei mattini
e l’azzardo di un approdo, un desiderio
appena sfiorato dallo sguardo,
nell’attesa di un passo o d’un fruscìo
che precorra il tuo cauto apparire;
e la dolcezza d’una menzogna
se la sera affiora più sfuggente
e più affannoso è l’ansito dell’ora.

E quando ti desti e sorridi
e pensi alla felicità e alla sua cenere
o gridi dentro di te per l’ansia che s’accende,
non guardare alla clessidra che si logora
e piange il suo stupido sfinimento,
non domandare se il vento continua
a soffiare battiti d’azzurro,
se è la fortuna o il merito che salda
i conti della vita e i suoi amori;
e quando il giorno si sfalda e precipita
dietro i monti e un respiro resta in bilico
sul filo della soglia e si sfiocca
sui cancelli inerti e non so
se in me germoglia un ritmo
o bussa l’immemore rimpianto,
donami una nuova attesa
che si faccia fremito e parola,
concedimi ancora una stagione
che percorra gli attimi e i millenni,
un privilegio che sia sospiro
e strepito di vento
per rendere visibili i ricordi
e impervio il sortilegio del silenzio.


Altri orizzonti



Quando l’ombra si attarda sui pagliai
e un limite s’innerva nei tuoi occhi,
non smarrire l’orizzonte mutevole
scandito dal confine dei solstizi:
l’itinerario verde, rassegnato
al gioco estenuante dei rondoni,
ha il fuoco degli incontri irripetibili,
l’emozione sottile come un taglio
che incide il corso del destino.

Altri orizzonti s’aprono alla mente
quando alterni sussulti ti feriscono;
ed altre attese covano un’ansia
di fuga nel cielo delle favole.

Ma la felicità è andare oltre,
vincere il flutto in cui ti specchi,
reinventare la sillaba consunta
in metafore di spazi che sconfinano.

E poi tutto s’avviva e anche le cose
più povere si vestono d’incanti e il grido
svanisce in un involucro d’aria;
e il grigio della sera si fa diafano
e docile trascorre sui viali e trascolora
nel fugace corruccio del silenzio.

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