sabato 14 novembre 2009

Vinicio Ciafré

Ha cominciato a scrivere, quasi per gioco, all’età di sedici anni, quando frequentava gli studi classici presso l’Istituto Comboniano di Sulmona. Vari libri di poesie (anche in vernacolo), racconti, romanzi e, recentemente, testi di commedie dialettali, interpretati dalla compagnia del Circolo per Anziani di Nereto, costituiscono la sua produzione.


Anche stasera
 

Anche stasera il magma
assale la collina dei respiri
e il senno non ha vie
per correre ai ripari.
L’assedio non concede soste
ed il delirio rode quel che resta
per fare i conti con le altre insidie.
Anche stasera l’indolenza è grande
sulle macerie d’echi e di memorie
che sorreggevano il cammino.
Un alfabeto aguzzo, senza fronde,
esala sulle strade ed il divario
delle stirpi si fa greve.
Anche stasera acuto
è il rombo delle antinomie,
il cuore è a mani vuote
ed il messaggio frana
sulle promesse colme di spergiuri.
Così il presente è sempre più amaro
e non c’è voce o albore
che plachi l’insaziabile futuro.



L'ambizione



E non ci resta più neanche l’eco
delle parole dette con il cuore;
ovunque l’urlo occulto del pensiero
che tesse sigle, cifre e congetture.
Anche il sorriso che ammansiva il volto
s’è spento al dilagare delle riffe
e nei giorni di festa il godimento
si carica di sfoghi e ammorba l’aria.
Abbiamo franto l’armonia del giorno
e ciò che per la specie di più conta
è il culto che consegna arricchimento
e gli ideali vanno alla deriva.
Non è così che si trapianta il seme
che ci perpetua il sogno se il terreno
inaridisce e restano le crepe
a darci quel sussulto che dilania.
Il nostro è un moto che ci spezza dentro,
le fioriture non ci sono più
e intanto l’ambizione cresce e il flusso
altro non fa che il gioco della morte.


E' tempo



Quando il vizio s’attarda sulla groppa
dei nostri giorni carichi di errori
e l’eco dell’abuso incontra il buio
che asseconda il malessere dei fiumi,
quando l’arguzia dei fanciulli supera
l’idioma degli adulti sulle piazze
e il sereno s’ingrigia di storture
nelle case trafitte dai lamenti
delle anticaglie spinte all’abbandono,
quando il tramonto lievita i sospiri
dell’astrazione dietro alle monofore
ed un’ingratitudine di fuoco
tortura la memoria che rimpiange
lo sforzo per l’ulìgine del solco,
quando il giogo rincorre allodossie
nei penetrali di coscienze al vento
ed il rifiuto aggrumola sospetti
che scavano incertezze sugli approdi,
è tempo di portare il nostro cuore
dove il respiro sale a capo chino
tra margherite bianche di parabole
che illuminano gli occhi di conforto.
Qui resteremo ancora nell’insidia
se la follia dell’incontinenza
ci spinge nell’inganno a consumare
il tozzo della pace dentro il ventre
ed il presagio del misfatto incombe
nell’aria che si aggriccia sugli spasimi
di un destino piegato alla sconfitta
dall’uomo maldisposto al sacrificio.

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